Ebbene sì, è già passato un anno da quando ho pubblicato su Amazon l'ebook de La sindrome di Rubens.
Ho scritto il romanzo per gioco e per scommessa, non ho cercato un editore, ho deciso di provare a fare da sola. Non so se ho fatto bene, non so se ho sbagliato.
So che ringrazio di cuore tutti i lettori che l'hanno acquistato, letto e recensito. Tutti i commenti, belli e brutti, sono stati importanti e vi ringrazio indistintamente per il tempo che avete dedicato alla lettura della mia storia.
Per quei pochi che passeranno di qui, vi lascio l'inizio del libro.
La neve.
Il quadro la
rappresentava in tutta la sua vivace leggerezza.
L’artista
aveva dato vita a quei fiocchi rendendoli un’unica tempesta, con rapide
pennellate aveva travolto la tela, fissando per sempre il movimento del vento e
il turbinio della neve.
Gli occhi
dei visitatori non si soffermavano sul piccolo quadro, opera di
un’impressionista minore. Attirati da nomi molto più altisonanti, vi passavano
di fronte veloci e poco attenti.
Lidia invece
si era persa nella leggerezza delle sfumature perlacee del dipinto di Sisley e
non voleva ritrovarsi.
I suoi amici
erano andati avanti, nella sala successiva, anzi nelle successive, l’avrebbero
attesa alla fine del museo, come al solito. Avevano fatto così gli ultimi
giorni perché avevano capito che era inutile metterle fretta. Anche quel
giorno, all’entrata del Museo Thyssen-Bornemisza, si erano accordati: Lidia li
avrebbe raggiunti con i suoi tempi, entro le quattro del pomeriggio. Nessuno
degli altri componenti del gruppo aveva la necessità di soffermarsi così a
lungo davanti alle opere d’arte come lei e, per visitare tutti assieme Madrid
senza malumori, avevano raggiunto quel compromesso. Un buon accordo che
consentiva a lei e ai suoi amici di godersi al meglio la visita della città.
Dopo qualche
minuto, sperduta nella tempesta di Alfred Sisley, la ragazza percepì un
movimento alle sue spalle: una donna anziana si era alzata dalla panca di legno
posta al centro della sala.
I piedi
stanchi la portarono a prendere il posto di quella donna.
Accanto a
lei si sedette qualcun altro, non ci fece caso; la bellezza emanata
dall’immagine dipinta le faceva uno strano effetto. Un formicolio inaspettato
le prese la base della nuca, per poi scenderle lungo tutta la schiena.
La
osservavano, ne era certa. Girò completamente la testa e vide il volto dell’uomo
che la fissava. Aveva più o meno la sua età, alto e magro, indossava una
camicia azzurra e dei jeans, portava una borsa a tracolla, mentre tra le mani
stringeva un apparecchio e un foglio. Aveva l’auricolare dell’audio guida il
cui filo bianco pendeva lungo la guancia, i capelli scuri erano lunghi e gli
coprivano le orecchie. Un naso diritto e zigomi pronunciati davano una
particolare bellezza al suo volto, mentre i grandi occhi verdi, fissi su di lei,
la scrutavano tanto in profondità da farla sentire a disagio.
Era abituata
agli sguardi maschili, era una donna che non passava inosservata: alta, snella
con lunghe gambe flessuose, la vita stretta e un seno non troppo prosperoso.
Una bella figura completata da un viso dall’ovale perfetto in cui i grandi
occhi scuri colpivano per la loro profondità. Anche se, le dicevano, erano le
sue labbra, ben disegnate e sensuali la sua parte migliore.
Sì, Lidia
era abituata agli sguardi di ammirazione ma la sensazione che provava in quel
momento non poteva definirsi la piacevole vanità di essere stata notata. Si
sentiva in imbarazzo per il modo in cui lei
aveva ricambiato lo sguardo del giovane: con desiderio, soffermandosi sul
suo corpo più del dovuto. L’espressione di stupore di lui le aveva fatto capire
che i suoi pensieri erano stati compresi, perciò si alzò d’improvviso. Andò
nella sala successiva, dove un poco riposante Rubens l’attendeva.
Rimase ad
ammirare l’enorme dipinto conscia della presenza dell’uomo vicino a lei.
Per un
attimo pensò che l’avesse seguita, ma il numero con il simbolo dell’ascolto,
successivo a quello del dipinto di Sisley, mostrava che l’opera era la seguente
nella registrazione dell’audioguida.
La donna di
Rubens dalla tela le sorrideva ammaliatrice, la curva sensuale della gamba, il
colore roseo del seno della dama d’altri tempi catturarono Lidia. Si lasciò
avvolgere da una singolare sensazione di languore.
Qualcuno
iniziò a toccarle la mano sinistra; era lui ne era certa, ma non osò volgere
gli occhi nella sua direzione. Sentiva le sue dita percorrere l’interno del
polso, accarezzando la pelle delicata con l’indice e rabbrividì di desiderio.
Alla fine lo
guardò negli occhi dell’uomo vide riflessa se stessa; una bramosia che non
conosceva si impossessò di lei.
L’ingresso
di un gruppo di turisti rumorosi la riscosse, concedendole un lampo di lucidità
che le consentì di allontanarsi, forse sarebbe più corretto dire che fuggì.
Attraversò
correndo le sale dedicate alla pittura statunitense dell’Ottocento, si rifugiò
nel corridoio diretta all’ascensore, appena le porte si aprirono entrò come una
furia.
Un gruppo
numeroso di visitatori la seguì all’interno e, mentre le porte si stavano
chiudendo, intravide la figura del giovane, persa tra il vociare di una
comitiva giapponese.
Si sentì al
sicuro nello spazio ristretto, circondata da estranei. Cercò di mantenere un
respiro normale e in pochi secondi l’apparecchio si fermò raggiungendo il piano
dell’uscita.
“Già arrivati? Troppo presto!”
Uno alla
volta tutti i turisti uscirono dall’ascensore lasciandola sola e permettendole
di pigiare il tasto successivo, scese ancora, gustandosi la bramata solitudine.
Nel piano
interrato c’erano i magazzini del museo, gli studi dei ricercatori, i
laboratori di restauro e i bagni. Appena le porte si aprirono Lidia vide le
indicazioni per la toilette, le seguì
sgusciando via dall’ascensore e infilandosi nel lucido bagno delle signore per
lavarsi le mani e il viso.
Quando fu di
fronte a se stessa, riflessa nello specchio, sospirò guardandosi con stupore.
“Che mi prende?”
Con
riluttanza si lavò la faccia, cercò di rimediare ai danni dell’acqua al trucco.
Quell’uomo
non era bellissimo, piacevole certo, con ampie spalle e occhi magnetici, ma non
l’aveva mai visto, come poteva desiderarlo tanto?
Perché si
trattava di vero e proprio desiderio sessuale quello che aveva provato mentre
le accarezzava la mano: come era possibile? Che l’avessero drogata?
Che sciocchezza!
Eppure una
morsa le attanagliava lo stomaco e la tensione che sentiva tra le cosce era
inequivocabile …
Scosse con
forza la testa, tentando si scacciare da sé sensazioni che non riusciva a
capire. Lasciò il lindo bagno delle signore e si diresse di nuovo verso
l’ascensore.
Sono solo stanca.
Aveva
esagerato con i musei, ora sarebbe salita, avrebbe sorseggiato un caffè e
raggiunto gli amici nella sala delle avanguardie russe.
Appena le
porte si aprirono un uomo ne uscì andandole incontro. Era lui.
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